Fusione nucleare, la strada è ancora lunga

Fusione nucleare, la strada è ancora lunga

Fusione nucleare, la strada è ancora lunga


La scorsa settimana, all’interno di una capsula a forma tamburo e placcata in oro sistemata in un laboratorio della California settentrionale, un gruppo di scienziati è riuscito a ricreare per breve tempo il processo fisico che alimenta il sole. Nell’esperimento, condotto in tarda serata, la capsula, che conteneva una sfera delle dimensioni di un granello di pepe con all’interno degli atomi di idrogeno, è stata colpita da 192 raggi laser. Alcuni di questi atomi, che normalmente si respingono, sono stati compressi e si sono fusi, innescando un processo che ha prodotto energia. Per gli standard delle reazioni di fusione riprodotte sulla Terra, la quantità di energia generata è stata notevole. Gli scienziati conducono esperimenti di questo tipo da anni, ma finora l’energia ottenuta era minore rispetto a quella necessaria per scaldare il combustibile. Questa volta, invece, l’hanno finalmente superata.

Questo risultato, noto come ignition, rappresenta una grande vittoria per chi studia la fusione nucleare. Agli scienziati è bastato guardare le stelle per capire che una simile fonte di energia è possibile: quando due atomi di idrogeno si combinano per produrre un atomo di elio si verifica una perdita di massa e quindi, stando all’equazione secondo cui E=mc2, anche un rilascio di energia. Ma da quando negli anni Settanta gli scienziati hanno definito per la prima volta l’obiettivo dell’ignition (noto anche con il nome di breakeven), il percorso è stato lento. L’anno scorso, i ricercatori della National ignition facility (Nif) del Lawrence Livermore lab ci sono andati vicino, generando un’energia pari a circa il 70 % di quella dei laser impiegati nell’esperimento. Gli scienziati hanno continuato a condurre esperimenti, fino a quando, poco dopo l’una di notte del 5 dicembre, ci sono finalmente riusciti: due megajoule di energia in entrata e 3 megajoule in uscita. Un guadagno energetico del 50 %. “Questo dimostra che si può fare” ha dichiarato la Segretaria all’energia degli Stati Uniti Jennifer Granholm durante una conferenza stampa.

I conti non tornano

Per gli scienziati che si occupano di fusione come Mark Cappelli, fisico della Stanford University che non ha partecipato alla ricerca, è un risultato entusiasmante. Per chi però spera che nel prossimo futuro la fusione nucleare possa diventare una fonte di energia abbondante, priva di CO2 e di scorie l’attesa potrebbe essere lunga, avverte Cappelli. Il punto – spiega il fisico – sta nella definizione che gli scienziati danno di breakeven. I ricercatori del Nif hanno dichiarato di aver ottenuto un’energia pari a quella dei laser usati per l’esperimento, un risultato enorme e atteso da tempo. Ma il problema è che l’energia contenuta in quei laser rappresenta una frazione minuscola di quella totale impiegata per azionarli. Se si applicano questi parametri, il Nif sta ottenendo una quantità di energia molto minore di quella sta immettendo. “Quel tipo di breakeven è molto, molto, molto, molto lontano nel tempo – dice Cappelli –; parliamo di decenni. Forse anche mezzo secolo“.

Il problema sono i laser inefficienti. Per generare l’energia di fusione con il metodo del Nif occorre indirizzare decine di raggi in un cilindro d’oro chiamato hohlraum, portando la sua temperatura a più di 3 milioni di gradi Celsius. I laser non sono direzionati direttamente verso il combustibile. Il loro scopo è invece quello di generare “una zuppa di raggi X“, spiega Carolyn Kuranz, ricercatrice che studia la fusione presso la University of Michigan. I raggi X poi bombardano la minuscola sfera di combustibile, composta da deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno.



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di Gregory Barber www.wired.it 2022-12-14 13:35:06 ,

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